lunedì 29 aprile 2013

Supporting Characters


Un film di Daniel Schechter con Alex Karpovsky, Tarik Lowe, Lena Dunham. USA, 2012.

Presentata al Tribeca Film Festival 2012, è una storia semi autobiografica in pieno stile New York-indipendente.

Nick (Alex Karpovsky) è un giovane montatore newyorkese prossimo al matrimonio, ed insieme all'amico assistente Darryl (Tarik Lowe) sta rimaneggiando, come di consueto, la struttura di un film onde evitare un fiasco già preannunciato.
Entrambi più o meno fidanzati, durante le sessioni di lavoro, talvolta anche notturne, si raccontano i propri problemi mentre un regista assente e stralunato, un po' meteora un po' paranoico, rende la vita difficile ai suoi dipendenti.
Ma ecco che l'elemento disturbatore di natura femminile (il fatidico supporting character) non tarda ad arrivare per rompere l'apparente quiete regnante: è l'attrice del film in questione e si chiama Jamie. Instaura quanto prima un rapporto molto confidenziale con Nick ma, nonostante l'ambiguità di qualche vago tentativo da parte di lei, nulla condurrà mai i due, seppur evidentemente controvoglia, a qualche tipo di incontro ravvicinato capace di minare le reciproche stabilità (?) sentimentali.

E', dunque, mentre i due protagonisti provano a salvare un film in crisi, che vedono rimessi in discussione anche i propri equilibri amorosi, ma se c'è qualcosa di scontato da dire è che la vita non è film, quindi, se un buon montaggio può fuor di dubbio conferir nuova vita ad un progetto ormai dato per spacciato, di certo non si rivelerà mai altrettanto semplice prendere piena coscienza della propria vita in un momento cruciale di grandi decisioni (l'imminente matrimonio di Nick) e dubbi esistenziali.

E' un'istantanea nitida, realistica e, in un certo senso, anche un po' amara, comunque mai spensierata, quella che il regista Daniel Schechter scatta ad una coppia di amici americani e alle loro rispettive situazioni: due amici dall'aria senz'altro cool, celata però dietro all'estro quasi d'artista di due tipici ragazzi newyorkesi, di quelli pseudo-indipendenti, che alla fine, sì, lavoricchiano anche, ma, di fatto, nessuno capisce mai come riescano a pagare l'affitto.

La fotografia piacevolmente calda, dai toni romantici e dalle sfumature alla pesca rende tutto il film esteticamente d'alto livello, con inquadrature perfette nel loro equilibrio dal quale la macchina da presa non sgarra mai, rimanendo spesso fissa, mantenendo fuochi perfetti e immortalando espressivi volti eccezionalmente evocativi.

Un cammeo di Lena Dunham dalla durata fin troppo effimera, arricchisce la storia già combattuta e confusa di un protagonista che tra lavoro, amore e ingenui moti d'attrazione, sembrerebbe un personaggio (Nick) in preda ad un imminente attacco di nervi, ma che inaspettatamente conserva tutta quella seraficità che lo contraddistingue fin dal principio rendendolo ancor più attraente, nei suoi silenzi comprensibili con cui tenta, altresì, di giostrare al meglio le fila di una vita dalla quale fa finta di non sentirsi edificato ma che in realtà, sotto sotto lo fa sentire un vero hipster senza eccezione.
Anch'egli, oltre a Lena Dunham, mutuato dalla serie tv GIRLS, dalla quale riprende anche il lato irrisolto del suo personaggio, Alex Karpovsky dimostra doti recitative molto buone e scorrevolmente amabili, tanto quanto quelle del co-protagonista Tarik Lowe, personaggio assai più scanzonato e divertito che, al regista, in questo caso, presta anche la sua piacevole mano di sceneggiatore.

Un bel film d'autore che, ancora una volta, con uno stile meno underground ma più contemporaneo e pulito dei soliti mumblecore, racconta una generazione in perenne conflitto, a disagio sia con i temi primitivi ed originari della famiglia, dell'amore e del sesso, sia con i temi più attuali relativi al contesto di crisi personale e globale socio-economico-culturale.

Scambio di favori tra indie-autori: una colonna sonora firmata dall'amico regista e musicista Jordan Galland (che per Tiny Furniture regalò un brano anche a Lena Dunham) in cambio di un trailer (per il film di Galland Alter Egos): onesto.




sabato 27 aprile 2013

5 motivi per amare To Rome With Love


Ieri pomeriggio, mentre scoprivo su youtube una nuova vlogger di libri e cinema molto simpatica e piacevole da ascoltare, PennyLane1202 (che ringrazio per avermi ispirata), mi sono imbattuta nella sua video-recensione di To Rome With Love in cui diceva di non averlo apprezzato particolarmente.

E' abbastanza noto quanto, questo film, non abbia fatto impazzire quasi nessuno senza distinzioni tra pubblico e critica: considerato una cine-cartolina inutile, girata per perdere un po' di tempo e soldi, io non sono mai stata completamente d'accordo con queste opinioni, così dichiaro che è giunta l'ora, anche per me, di uscire allo scoperto.
Cercherò di non fare paragoni con i più di quaranta film che Woody Allen ha all'attivo, la maggior parte dei quali incommensurabili capolavori, perché è una pratica che non trovo giusta per nessun film o regista; è legittimo, anzi doveroso, contestualizzare le varie opere filmiche all'interno di una carriera tanto vasta quanto geniale, trovarne elementi comuni, fare voli pindarici, collegamenti vari, ma filosofeggiare su quanto i suoi ultimi lavori non siano di certo all'altezza di Manhattan o Io e Annie lo trovo anacronistico e discretamente radical chic.

Sì, alcune critiche sono da fare: manca la solidità di una trama concreta, non c'è un vero protagonista di spicco essendo un film corale, ma anche la coralità inevitabilmente si perde poiché le storie, pur nella loro diversità, non sono veramente coese tra loro come, invece, accade nei veri film corali in cui i protagonisti, anche se numerosi, sono tutti molto potenti scenicamente e portano avanti la narrazione con le loro storie più o meno intrecciate.

Nonostante tutto, ecco i miei 5 motivi per amare To Rome With Love:

- Presi singolarmente ci sono alcuni personaggi interessanti tra cui il goffo Antonio interpretato da Alessandro Tiberi che, da Boris, è come se portasse avanti il personaggio dello stagista sfigato a cui ne capitano di tutti i colori. Divertente.
Il personaggio migliore di tutti: la traboccante di sensualità Monica, interpretata da Ellen Page. Un personaggio magnificamente delineato (il più completo probabilmente) che, pur rientrando nello stereotipo dell'intellettualoide femme fatale che ogni uomo sognerebbe, conduce la storia che da sola, manda avanti l'intero film, ancor meglio, la storia su cui sarebbe stato meglio che l'intero film si fosse basato. Un po' esistenzialista francese, un po' nevrotica newyorkese, donna tormentata ed in preda al suo stesso edonismo, dà all'opera un tocco “alla Julie Delpy” e ai suoi film di dialogo. La signorina Julie.

- Gli scorci romani e i vicoli trasteverini: chi dice che una cine-cartolina debba per forza essere sempre una marchetta?
Il fascino di Roma è stato colto alla perfezione dall'occhio (turistico) di Woody Allen, che, tra l'altro, si è sempre contraddistinto per la sua sensibilità estetica, basti pensare ad altre sue cartoline quali Vicky Cristina Barcelona o Midnight in Paris. Cinema in viaggio.

- La presenza di Woody Allen stesso: finalmente! Non si assisteva ad un ritorno davanti alla macchina da presa di un suo stesso film dai tempi di Scoop, 2006.

- Tributo alla musica, all'opera e all'arte italiana. Verdi, il Rigoletto, La Traviata, I Pagliacci di Leoncavallo...sublime paesaggio sonoro.

- La voce del vigile nel doppiaggio italiano: Francesco Pannofino. Mitico. C'è un po' di René Ferretti anche in questo film, così come in tutti noi!

Per i nostalgici che vorrebbero ritrovare il Woody vecchio nel nuovo, non mancano in realtà alcuni topoi del suo cinema o della sua arte, tra cui la gag della doccia: è un'idea che risale a trent'anni fa e che Woody Allen ha sempre corteggiato citandola spesso in film citazioni e scritti, o ancora la nevrosi del suo personaggio, la paura dell'aereo, le medicine. Altro grande topos il fantasma di Alec Baldwin: è un divertente espediente ricorrente nella sua cinematografia a partire da Provaci ancora Sam (di Herbert Ross ma comunque tratto da un testo di Woody) in cui si faceva vivo il fantasma di Bogart, o quello in Io e Annie dalla cui fila per il cinema compare magicamente Marshall Mc Luhan, in un momento epocale del cinema mondiale, in cui il regista si rivolge direttamente allo spettatore rendendo la finzione reale e la realtà mera finzione.

Tutto questo perché amo visceralmente Woody Allen e cerco di ingannare l'attesa per il suo prossimo film! 
Chi lo desiderasse, nei commenti o con un post sul proprio blog, può replicare con i propri 5 motivi per amare o non amare To Rome With Love

Buon cinema!

giovedì 25 aprile 2013

Sunshine Cleaning


Un film di Christine Jeffs con Amy Adams, Emily Blunt. USA, 2008.

Un'altra piccola dramedy indipendente uscita dal Sundance 2008: terza regia (e mezza contando anche il primo cortometraggio Stroke) per Christine Jeffs.
Rose e Norah Lorkowski, due adorabili sorelle, squattrinate e un po' sbandate, provano a mettersi in società dopo aver perso innumerevoli lavori: una società che si prospetta remunerativa se non fosse che una delle due, la più disadattata, è sempre pronta a mettersi nei guai.

Una storia ricamata con finezza ed ispirata ad una vicenda ascoltata su NPR Naional Public Radio, nel 2001, che ha incuriosito la regista tanto da metterla al lavoro per trarne un film dal risultato assai convincente e soprattutto emozionante.
Interamente girato nel New Mexico, Sunshine Cleaning conserva lo spirito indie di tutti quei film prodotti dai Turtletaub e Saraf che tanto amano questo stile, nonostante l'azzardo fin troppo evidente del titolo: un richiamo che si fa intricato se solo si pensa ai Little Miss Sunshine, American Sunshine, American Life, American Beauty che quasi si confondono tra loro, in un misto di discutibili scelte di mercato nostrane e d'oltreoceano.
Un film tecnicamente maturo che esula dai movimenti di macchina sporcati dei mumblecore più innocenti e si fa stabile narrazione: molto più incentrata sui personaggi, sulle loro storie da looser, sui problemi familiari di donne allo sbando, single o con figli senza padri, con genitori a cui badare e senza lavori con cui mantenere le fila di vite già abbastanza disastrate.
Il tutto raccontato con la leggerezza di un tocco comedy che rende lo spirito naif dei personaggi, interpretati da Amy Adams e Emily Blunt, totalmente amabile.
Emily Blunt in particolare, perfetta nel ruolo della giovane zia single malinconica e bad girl che racconta storie dell'orrore tentando di soffocare vecchi dolori di bambina che prima o poi dovrà affrontare.

Bella interpretazione anche per Oscar (Jason Spevack) all'epoca già affermato attore undicenne, nel suo ruolo simpatico, espressivo ed un po' impertinente che lo ha reso la mascotte dell'intero film.
Ultima nota, ma non meno importante, va al personaggio di Winston (Clifton Collins Jr.), il più interessante e riuscito, quasi invisibile ma al contempo molto presente: il più romantico, l'uomo che in silenzio ammira il mondo e le donne che lo circondano, amandole in qualche modo forse, aiutandole con amicizia, sorridendo delle loro ingenuità e offrendo loro la propria solidarietà. Fin dal principio è lui il personaggio migliore, quello buono su cui lo spettatore può veramente contare e per il quale spera subito il meglio, perché in fondo se lo meriterebbe un bell'amore sincero, una nuova metà da abbracciare e da cui essere abbracciato.
Un orecchio anche alla colonna sonora con "Cure for this"- Golden Smog.


venerdì 19 aprile 2013

Waiting for "La Grande Bellezza"


Non si parla di cinema indipendente in senso stretto ma di certo anche Paolo Sorrentino merita un post(o) tra i miei blueberrymovie preferiti.
La presunta notizia (già da settimane data quasi per certa) della partecipazione del regista al prossimo Festival di Cannes è diventata certezza: “La Grande Bellezza” concorrerà ufficialmente per la Palma d'oro internazionale.

Non è ovviamente la prima volta a Cannes per Sorrentino, ormai avvezzo a concorrere in festival di tutto rispetto e questa volta lo fa con un film del quale si sa pochissimo ma di cui possiamo saggiare le atmosfere e le suggestioni più poetiche nel teaser nonché nel trailer ufficiale rilasciato ieri.


Ancora una volta Toni Servillo, al servizio del maestro napoletano e suo attore feticcio (alla stregua di Sean Penn) delizierà gli appassionati con un'interpretazione che già dal trailer si preannucia strepitosa. Attore camaleontico e trasformista, ne “La Grande Bellezza” interpreterà un giornalista affascinante immerso in una città dal surreale e perché no, talvolta grottesco, fascino italiano: Roma.

Dopo This Must Be The Place, dunque, col quale Sorrentino era passato, oltre che a Cannes, anche dal Sundance Film Festival, si assiste ad un ritorno in patria che sembra comunque conservare una certa universalità, così da rendere il film stesso esportabile internazionalmente.

I miei tre buoni motivi per non perderlo:

L'accoppiata Sorrentino-Servillo funziona e non si cambia, da L'uomo in più a Il Divo passando per Le Conseguenze dell'Amore, è una garanzia.

La colonna sonora: ancora nulla si sa della soundtrack ma stando ai precedenti capolavori, ogni cosa farebbe sperare per il meglio.

La poesia dell'immagine: l'estetica cinematografica di Sorrentino, la migliore di tutti i tempi.



martedì 16 aprile 2013

happythankyoumoreplease

Un film di Josh Radnor con Josh Radnor, Kate Mara, Zoe Kazan. USA, 2010



Presentato al Sundance Film Festival nel 2010 e premiato con il Premio del Pubblico, è l'esordio dietro la macchina da presa di Josh Radnor, seguito dal più recente e già recensito Liberal Arts.

Happythankyoumoreplease è una storia a tratti autobiografica che racconta l'evolversi di tre vicende più o meno intrecciate tra loro in una New York non invadente ma, già dalle prime inquadrature, molto caratterizzata con le tradizionali cisterne sui tetti, i bizzarri personaggi, gli artisti e banchetti di ogni sorta per le strade: sequenze d'ordinario micro-macro cosmo in una metropoli sempre affascinante.
Josh Radnor è Sam Wexler, tenero e stropicciato scrittore quasi trentenne in cerca di editore nonché d'ispirazione. E' un giorno importante per lui, ma ignora quanto, talvolta, una semplice mattinata possa trasformarsi in una surreale avventura. Sul metrò incontra un bambino che ha perduto la madre ed in qualche modo, decidendo di rimanere insieme, come anime che si scelgono tra tante, diventano piccoli amici. Ma nella vita di Sam entra anche Mississippi, giovane e bella cantante che si imbatte nella sua sregolatezza cercando di porvi ordine.

Oltre alla storia principale, sono ben delineate anche le altre due storie che, seppur secondarie, sono raccontate nei particolari ed approfondite, tra cui quella dell'amica di Sam, Annie, affetta da alopecia, organizzatrice di strani party hippie, alla ricerca di un uomo vero ed in fuga da un passato sentimentale difficile da dimenticare.
Un po' meno approfondita la terza storia, componente comunque importante del delicato intreccio narrativo: quella della cugina Mary Catherine (brava Zoe Kazan già recensita in Ruby Sparks) e del suo ragazzo Charlie afflitto dall'atroce dubbio a proposito di un suo eventuale trasferimento a Los Angeles.


Sono i quasi trentenni in cerca di sistemazione, economica e sentimentale, che il cinema indipendente contemporaneo ritrae spesso da qualche anno a questa parte: giovani quasi senza speranza, slackers disoccupati o precari, nel lavoro e nell'amore, ma dotati costantemente di un'eccellente ironia che va a sconfinare in riflessioni sempre consapevoli sul presente o sul futuro senza perdersi in facili pietismi. 
Un tema molto caro al regista, quello degli slackers, mutuato sicuramente dall'omonimo film di Linklater che Radnor stesso, insieme al P.T. Anderson di Magnolia, dichiara di venerare come regista, grazie alla cura che entrambi  dedicano alla costruzione dei loro personaggi ed ai dialoghi drammatici ma veri al contempo che aprono le menti degli spettatori.
Una sensibilità particolare porta, inoltre, la regia di Radnor, a superare la mera grammatica cinematografica per conferirle nuovi significati: ciclicamente, infatti, nel corso della narrazione, ogni personaggio vive il proprio climax ed è proprio in tale momento che la macchina da presa si avvicina fino quasi ad andare addosso ai visi dei suoi attori, passando da descrittivi e contestualizzanti piani larghi/ totali, a primissimi piani intensi ed emozionanti, in una duplicità stilistica che si fa notare ed amare.

Bella colonna sonora da ascoltare e riascoltare!


sabato 13 aprile 2013

Waiting for "The Bling Ring"


Prima della recensione del prossimo blueberrymovie, che ho intenzione di scrivere a breve,
non posso resistere alla tentazione di dedicare un intero post a colei che, pur con pochissimi film, è riuscita ad esprimere al meglio la sua poetica registica ineccepibile con uno stile personalissimo ed amabile.
Il tocco indie del primo lungometraggio (Il giardino delle vergini suicide), il romanticismo sconfinato e silenzioso del secondo (Lost in Traslation), i colori pastello macaron-pop del terzo (Marie Antoinette) e le atmosfere tenui e decadenti delle lenti Zeiss di papà nel quarto (Somewhere), ci portano a domandarci: come sarà il prossimo film di Sofia Coppola?


Ancora poco si sa di The Bling Ring se non un accenno alla trama (la storia vera di una gang specializzata in furti glamour presso celebri ville a Beverly Hills), ma già dal magnifico poster è facile intendere quanto gusto e novità si celino dietro a scelte registiche sempre nuove e mai banali.
Si intuisce la leggiadria e l'estro di un'artista che si disinteressa ad ogni regola e si reinventa, ad ogni film, un modo di fare cinema profondamente personale (come sta attualmente facendo anche Lena Dunham).
Ci sono ancora poche donne nel cinema ma quelle che ci sono, è ormai evidente, danno filo da torcere a tutti i registi uomini del mondo in quanto a rivoluzionarietà, autorialità ed innovazione. Essere contemporanei è la parola d'ordine e le pioniere del nuovo cinema contemporaneo ci stanno lavorando bene, perchè lungi dall'essere sterili femministe frustrate che combattono solo a parole, si rivelano essere vere donne sicure dei propri talenti, che in silenzio e disinteressate alla competizione maschile, si spianano una strada artistica mai frivola e dal gusto estetico raffinato.


I miei tre motivi per non perderlo:

- Scritto e diretto da Sofia Coppola, anche questo film è stato prodotto in parte dal fratello Roman (co-sceneggiatore di Moonrise Kingdom che da poco ha ri-collaborato con Wes Anderson per i tre spot d'autore di Prada)
- Dal trailer sembra la versione girly di un film di Tarantino, inframezzato da scritte nere su sfondo giallo e musica coinvolgente da cui aspettarsi bei colpi di scena.
- Così come la dolce Cleo di Somewhere (Elle Fanning) poteva sembrare il ritratto di bambina della Charlotte di Scarlett Johansson in Lost in Traslation, qui, Emma Watson potrebbe essere la versione bad girl della cresciuta Cleo, come a raccontare sempre un'unica storia tutta al femminile degna dei migliori romanzi di formazione.







martedì 9 aprile 2013

Blue Valentine


Un film di Derek Cianfrance con Ryan Gosling, Michelle Williams. USA, 2010


Opera seconda del giovane regista americano Cianfrance, Blue Valentine è stato presentato con successo al Sundance Film Festival nel 2010 ed è uscito nele sale italiane in ritardo di qualche anno il giorno di San Valentino.

Una cosiddetta dramedy in salsa indie che racconta parallelamente la nascita e la fine della storia d'amore tra Dean (Ryan Gosling) e Cindy (Michelle Williams).
Un amore fin da subito nato un po' pesante, cresciuto forzatamente nonostante la pace armata tra i protagonisti rassegnati che col trascorrere del tempo hanno trovato una dimensione più o meno tranquilla. Ma ogni amore che non è amore, si sa, è destinato e venire a galla, ed è così che un weekend fuori porta si trasforma in un'amara presa di coscienza.
La storia, semplicemente dolorosa, si svela nel corso del film grazie ad un interessante espediente tecnico-narrativo per cui il presente dei due protagonisti viene continuamente giustificato o spiegato dal loro passato che riaffiora creando una speciale fusione dei due risvolti di una stessa storia, creando un insieme che, anche quando sembra confusionario, si riprende senza fretta ritrovando la sua coerente complessità.
Dunque non singoli flashback esplicativi ma rimandi al passato uguali e opposti al loro presente come a ripercorrere in negativo le tappe di un amore in fiore ed ormai infelice.
Un parallelismo narrativo che si traduce evidentemente in dualismo anche stilistico, per cui il presente della coppia, glaciale e cupo dai colori spenti e scuri, quasi desaturati, si alterna alla parte di film dedicata al passato, leggero e spensierato, che è anche quella che tecnicamente sembra possedere una certa texture più naif, sia nella fotografia più accesa e brillante, che nei movimenti di macchina più naturalmente mossi e scomposti come il baccano felice dei corpi ingenui ed entusiasti che si agitano ballando per le strade.

Il topos del ballo, infatti, ritorna anche in questo film per ben due volte, in linea con il parallelismo positivo/negativo del racconto: c'è il ballo del passato con i due amanti ancora sconosciuti che si cercano e si divertono accordandosi a vicenda sotto le note di un violino stonato, ed il ballo intimo e intriso di sofferenza del presente, con loro immersi nel freddo grigiore metallico di un motel e della loro camera del futuro. 
Michelle Williams recita bene e sembra particolarmente adatta ad un ruolo così sofferente e arrabbiato, il ruolo di una donna che reagisce allla mediocrità di una vita che si è intrapresa con le migliori intenzioni ma che sta sfumando in un finale commovente e rassegnato ancora pieno d'amore.

La colonna sonora dei Grizzly Bear, rock band statunitense che ha prestato alcuni brani, tra gli altri, anche al documentario indipendente di Chris Waitt A Complete History of My Sexual Failures, accompagna le riprese a mano più grezze e street, unendole alle più statiche e tradizionali, in un continuum sonoro che rende la visione completa del film molto intensa e personale. 



venerdì 5 aprile 2013

American Sunshine

Un film di Martin Hynes con Lou Taylor Pucci, Zooey Deschanel. USA, 2007.

Sorvolando sull'allusivo titolo italiano comunque piacevole nella sua musicalità, The Go-Getter è un road movie indipendente presentato per la prima volta nel 2007 al Sundance Film Festival.

Eugene, Oregon. Due voci over parlano al telefono: “L'hai mai fatto prima?” dice lei, “Cosa, rubare un'auto?” risponde insicuro lui.

Mercer ha diciannove anni, le ceneri in borsa di una madre deceduta da nove mesi ed un fratellastro in giro per l'America da recuperare per fargli pervenire l'infausta notizia.
E' così che, squattrinato e solo, decide di rubare un'auto da un autolavaggio ed incamminarsi per andare a conoscere Arlen, di diciotto anni più grande di lui in fuga da polizia e pessime compagnie. Felon-Nevada. Sacramento, Los Angeles-California. Ensenada-Mexico: inizia il viaggio on the road, ascoltando audio libri western ed indipendenti brani d'autore, tra suggestivi tramonti d'America e deserte strade assolate, fino a che Mercer non riceve una chiamata. E' la proprietaria dell'auto: una bella voce simpatica ed amichevole la quale avanza presto una bizzarra proposta...
Da qui si entra nel vivo del film che vedrà il protagonista venire a contatto con pittoreschi ed eccentrici personaggi quasi provenienti da epoche differenti, come usciti da macchine del tempo un po' sballate: ex hippie stralunati o ragazzine ninfomani e drogate, ma sarà solo quando magicamente verrà scovato personalmente dalla misteriosa voce con cui, nel corso delle telefonate ha stretto un'intima amicizia, che il suo viaggio comincerà a girare veramente.
Un film tecnicamente movimentato: girato quasi interamente con camera a mano/spalla, vanta una spontaneità nei movimenti di macchina atipica ed affascinante. Panoramiche a schiaffo, bruschi avvicinamenti della camera ai protagonisti, riprese da punti di vista nuovi ed efficaci nonché inusuali contre-plongée sognanti, rendono il film quasi un esercizio dall'estetica sperimentale che non si serve però della sola tecnica per raccontare una storia bensì si avvale anche del sentimento.
Un sentimento quasi mai reso volgarmente esplicito a parole ma sempre suggerito da micro-gesti carezzevoli percepibili lievi ed eterei, accompagnati dai silenzi pieni dei personaggi che amabilmente comunicano attraverso i fremiti dei propri corpi.


Una tendenza sperimentale investe anche la narrazione: il romantico road movie si fonde e confonde insieme ad onirici balletti francesi e fantascientifiche sparizioni di corpi sulla spiaggia.
Affascinante anche l'uso studiato del flashback mai noioso, ottimo espediente per raccontare il background del protagonista riportando il suo passato in vita solo all'occorrenza, nei momenti di maggior contatto con il suo presente evitando lunghe digressioni e mantenendo vivo e frizzante il ritmo narrativo.
Un viaggio alla scoperta di un mondo altro, lontano dalle campane di vetro sotto cui “non farsi rubare il cappello”, alla volta di nuove consapevolezze, smentendone una in particolare, quella secondo cui si dice che, nella vita, più si lascia meno si perde.
Neanche a dirlo, una colonna sonora degna di un road movie: brani di Elliott Smith, The Black Keys e soprattutto Matthew Ward. Un film da ascoltare!