mercoledì 29 maggio 2013

Love Mumblecore Movies

Un movimento romantico

Molti film che vi appartengono sono conosciuti, alcuni meno, fatto sta che in Italia si parla ancora poco del genere mumblecore. Fiore solitario in un campo di narcisi.

E' cinema quasi sempre indipendente e low budget, senza troppi fronzoli tecnici. Macchina da presa a mano, una trama quotidiana e videocamere o reflex digitali: pochi strumenti insieme ad una storia da raccontare, sono le valide premesse su cui si basa una generazione di autori dall'aria improvvisata ma che, in realtà, perfettamente consapevole del cinema che l'ha preceduta, ha capito che do it yourself è sacrosanto e possibile, soprattutto nei momenti di crisi.

Un tocco naif, coraggio, sperimentazione: attori e registi al servizio di un'arte che non pretende lustrini. Nonostante tutto c'è chi, il mumblecore con i suoi registi a volte nerd, trentenni quasi disadattati che si auto-dirigono ed intessono vaghi e promiscui rapporti tra di loro, non riesce proprio a digerirlo.
Seriously?  
No, love mumblecore :)

lunedì 27 maggio 2013

Restless

Un film di Gus Van Sant con Henry Hopper e Mia Wasikowska, USA-UK, 2010.

Doveva essere presentato al Sundance 2011, invece è finito sulla croisette, nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes: quattordicesima e penultima pellicola diretta da Gus Van Sant, conta due protagonisti d'eccezione e figli d'arte, Henry Hopper e Mia Wasikowska, splendidi insieme per dar vita ad una storia romantica e scura allo stesso tempo, da osservare con la loro stessa leggerezza.

Loro sono Enoch e Annabel, romantici inquieti, molto giovani e molto addolorati, si conoscono ad un funerale e finiscono a raccontarsi misteri e rancori all'ombra di piante solitarie, fiumi e binari di campagna nelle splendide location dell'Oregon.

Un gioco macabro che profuma di morte, musica e poesia, tra libri che parlano di uccelli e volatili acquatici che ogni mattina scoprono di essere vivi e vogliono cantare, un fantasma innamorato con una lettera in sospeso, mai inviata, ad un amore ormai lontano, tre mesi da vivere e giochi in scatola da consumare.

Un amore metafisico che parla della fine con l'ingenuità di chi si immagina un trapasso al gusto di milkshake, colorato e dolce, tanto da prepararselo accuratamente ed interpretarlo solennemente in una messa in scena perfetta e commovente.
Succede questo quando un tenero amore deve smettere di battere e volare alla volta di una strada segreta: i corpi fragili, per l'ultima volta, si misurano l'apertura alare in un abbraccio triste che non vuole schiudersi ed è fatta.

Gus Van Sant ancora una volta regala il suo sguardo malinconico e le sue inquadrature d'autore ad una trama profondamente delicata, basata su un'opera teatrale portata al cinema con assoluta ed immensa grazia.
L'innocenza dei protagonisti si riflette nei volti angelici e pensierosi di due ottimi attori che come in una danza macabra si accompagnano in un percorso di accettazione tanto impegnativo quanto necessario.
I temi della morte, della natura, dell'amore compongono una trilogia speciale che rende delicata e soprannaturale l'armonia che pervade l'intero film, nonostante la gravità ed il peso specifico della trama.

Annabel: "Io canto ogni mattina... da quando ti conosco"

Un piccolo gioiellino, come tante altre opere nella filmografia di Gus Van Sant, che spicca per la sua sua leggiadria e tiene alto, quasi per tutto il tempo, il livello d'umore e di stupore, senza rientrare nello squallore di quel discutibile genere patetico e facilmente commovente che da un po' di anni va di moda, il cancer movie. Solo cattivo gusto.

Bravo Hopper al suo esordio come attore in un lungometraggio e ottima scelta delle musiche!

giovedì 23 maggio 2013

Waiting for "Before Midnight"


E' stato presentato nei primi mesi del 2013 prima al Sundance, poi a Berlino e in ultimo a New York, al Tribeca film Festival: è il terzo film della storia d'amore diretta da Linklater nel corso degli ultimi vent'anni, interpretata da Julie Delpy e Ethan Hawke.

Céline e Jesse, parigina lei, americano lui, sono i protagonisti di un'intensa e tormentata storia che li vede trasformarsi da sprovveduti ventenni sconosciuti, poetici vagabondi persi nella notte accogliente di Vienna a parlare d'amore tra i parchi e le panchine di romantici vicoli storici, in trentenni a Parigi, un po' più disillusi, sentimentalmente impegnati ma ancora sensualmente attratti dagli sguardi e le parole di un'intimità quasi platonica mai completamente realizzata.

Dopo Before Sunrise e Before Sunset, Before Midnight è un'ansiosa cine-attesa: finito di girare a settembre scorso e (neanche a dirlo) senza una data d'uscita italiana, racconta un nuovo romantico incontro tra i due protagonisti ormai adulti, quarantenni maturi e risolti, questa volta, immersi nella natura degli straordinari peasaggi della Grecia.

I toni mediterranei che dal trailer si percepiscono, fanno pensare ad una rivoluzione nel cinema di Linklater, almeno per questo film: spariscono gli scorci caratteristici delle capitali europee, l'atmosfera metropolitana delle lunghe passeggiate attraverso la città, accompagnate da amorevoli dialoghi metafisici e filosofici, per prediligere, un tocco quasi più familiare, in linea con la crescita sia degli attori che dei loro personaggi.

Dopo Bernie, il regista continua la sua via indipendente verso un cinema diventato ormai riconoscibile grazie alla sua firma d'autore, che si è evoluto ma che negli intenti non è mai cambiato. Tanto amore.

martedì 21 maggio 2013

A Love Song for Bobby Long


Un film di Shainee Gabel con John Travolta e Scarlett Johansson. USA, 2004.


Presentata a Venezia per la prima volta, è fino ad ora l'unica opera di finzione per la sceneggiatrice e scrittrice Shainee Gabel che approda alla regia ficton dopo il suo primo documentario Anthem risalente al 1997.


Da Panama City, Florida, a New Orleans: una romantica queste familiare alla ricerca delle proprie radici.
Lei è Purslane (Scarlett Johansson), giovane donna in conflitto col mondo e con se stessa che approda, in ritardo per il suo funerale, a casa della madre, dove l'attende una cittadina in lutto per una donna diventata ormai leggenda, generosa amante perduta che lascia al mondo il suo profumo in vecchi libri, poesie e canzoni.
Il nome di un fiore e due uomini sfaccendati: una convivenza inquietante tra la decadenza di pareti marcite, una solitaria veranda in legno e le troppe birre al ritmo country delle chitarre scordate: Lawson e Bobby Long, l'allievo e il professore, perduti in un libro che non esiste, poeti ubriachi in viaggio verso la lucidità.


La defunta madre di Purslane, Lorraine, è la presenza protagonista assoluta del film, vivido e sensuale ricordo nei cuori del resto dei personaggi, sembra coordinare magistralmente i loro rapporti e le coincidenze d'amorosi sensi da cui sono indissolubilmente legati. E' lei che tesse trame e tele a cui alla fine conferirà l'ordine cosmico migliore, con un finale circolare che chiude in positivo il poetico vagar di ognuno. 

Padri, figli e amanti in bilico: tutti personaggi profondamente caratterizzati, che si muovono misteriosamente lasciando in sospeso ragioni e sentimenti, soggetti ad un deus ex machina che non esiste ma che fin dal principio definisce gli intrighi di una trama interessante e romanticamente destinata alla deriva senza ancora, nonostante tutto, essere del tutto spacciata.

temi della pacificazione con se stessi, della lucidità, del confine sottile tra consapevolezza ed incoscienza, ed un accennato erotismo quasi ineffabile, compongono l'affresco confusionario di un grande giardino in cui ogni fiore torna a respirare sotto al proprio sole personale.


Ancora una volta il topos del lento, ci regala un ballo intriso d'infinita tenerezza, al calar del sole, quando le congiunzioni astrali sono più favorevoli, i cuori più caldi e la fotografia più morbida. E' il tramonto, ed al tramonto si sa, anche un prato decaduto, in mezzo alla terra, tra roulotte, e vecchie poltrone, con una chitarra che intona una canzone d'amore, può diventare un posto più accogliente. 

domenica 19 maggio 2013

Broken Flowers


Un film di Jim Jarmusch con Bill Murray, July Delpy. USA 2005

Ha vinto il premio speciale della giuria al Festival di Cannes del 2005 ed in origine avrebbe dovuto chiamarsi “Dead Flowers”.

Inchiostro rosso su carta da lettera rosa e un picchio impresso sul francobollo: una macchina da scrivere fantasma ed un figlio segreto da una donna senza firma.
Una lista di amanti ed un Don Giovanni invecchiato costretto a fare i conti con il proprio passato.
Sono questi gli ingredienti di un film stupendo che solo il genio di Jim Jarmusch avrebbe potuto rendere così leggero e malinconico come una canzone in auto che finendo lascia le sue parole nell'aria nonostante il silenzio di chi dalla vita non vuole più aspettarsi grandi stravolgimenti.

Cinque tappe attraverso il proprio passato ed il nuovo presente di donne talvolta distrutte, anime nuove con una vita troppo diversa da come se la sarebbero immaginata ai tempi dell'amore.
Location perfette, perlopiù tutte in caratteristiche cittadine nello stato di New York, rappresentano la più adatta scorrevole visione dietro ad un finestrino, per un road movie sotto note etiopi che “fan bene al cuore”, dall'aria decadente che pur non discostandosi dalla civiltà, trova i luoghi migliori e più silenziosi o desolati in cui far sosta e portare avanti la bizzarra ed intrigante queste dell'anima di cui si nutre.

Gli anni migliori di Bill Murray che tra questo film e Lost in Traslation, a partire dagli anni Duemila ha dato vita ai suoi personaggi più affascinanti, eroi romantici e silenziosi, ironici e buffi, corpi galleggianti tra l'inettitudine e l'alienazione. Personaggi scelti con sapienza ed inebriati dalla poesia di una recitazione personale ed introspettiva: da I Tenenbaum a Moonrise Kingdom passando per Il treno per Darjeeling: tutti capolavori.
Seconda volta con Jim Jarmusch dopo Coffee and Cigarettes: una collaborazione perfetta che in Broken Flowers diventa ancor più matura e narrativamente strutturata, dando vita ad un'opera completa, dalla trama misteriosamente poetica ma dallo stile meno ermetico del solito, grazie ad una linearità, vero dono per il film, che a fare strani paragoni, sarebbe tanto insolita quanto azzeccata come quella di Una storia vera di David Lynch.
Fantastica apparizione iniziale di Juliy Delpy, quasi un cammeo che però rappresenta forse il motore dell'intera storia.

Un misto tra riprese dall'alto e dettagliate alla Wes Anderson e la cupa coralità dell'America Oggi di Altman.

Una bella riflessione non immediata, una storia non scontata e ben recitata, di quelle a cui si ripensa continuamente cercando di trovare risposte impossibili.
Una sceneggiatura scritta magistralmente:

Don: Che fai più tardi, beviamo qualcosa?
Carmen: Ehm... No, non bevo.
Don: Magari mangiamo qualcosa.
Carmen: Io non... mangio.
Don: Non mangi. Ehm, facciamo due passi... Non puoi dire che non cammini.
Carmen: Non ne ho tanta voglia.
Don: Ce l'hai una macchina da scrivere?
Carmen: Una macchina da scrivere?
Don: Sei sposata?
Carmen: Sai, forse adesso è proprio il caso che tu vada.


Un viaggiare vorticoso, tanti sguardi ed indizi senza tempo: poche certezze ed un ultimo giro di camera intorno a Don e alla sua solitudine, per ricordarci che, “il passato è passato, il futuro non è ancora futuro... tutto ciò che conta è nel presente”.

venerdì 17 maggio 2013

The Romantics


Un film di Galt Niederhoffer con Katie Holmes e Adam Brody. USA, 2010.

Presentato al Sundance 2010, è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo scritto dalla regista americana Galt Niederhoffer.

La notte prima del matrimonio può essere un momento crudele per chi non è realmente convinto ad effettuare cotanta coraggiosa scelta di vita; ancora più tragica essa si rivela quando diventa partecipata e collettiva, all'interno di un film corale in cui un gruppo di amici, una vecchia compagnia da college riunitasi dopo anni, trascorre una serata fuori dagli schemi ripercorrendo vecchi ricordi, speranze andate a male, frustrazioni amorose e limitate prospettive future, in un clima goliardico che, in una sorta di catarsi collettiva, si veste d'evasione dalla vita reale. Sono loro i romantici.

Attori mutuati da telefilm adolescenziali, riportano alla memoria le scene romantiche dei sedicenni di Dowson's creek o i borghesi finti scapestrati di O.C, solo più vecchi e annoiati, nelle atmosfere cupe di uno scenario che vediamo quasi solo al buio: una nottata al mare d'amori e tradimenti che farebbe concorrenza alle coppie di Updike, altrettanto borghesi ed annoiate, sensualmente avide ed innamorate.

La quasi unità di spazio e tempo conferisce una speciale coesione al film che altrimenti, dati i molti personaggi, sarebbe risultato troppo dispersivo, ma la cupezza delle immagini, esteticamente poco studiate (sia scenograficamente che tecnicamente), con movimenti di macchina non narrativamente significativi, fanno di tale dramma, un quadro d'amore appiattito dai toni e dalla recitazione.
Katie Holmes, con una capacità interpretativa ed un'espressività mai progredite dai tempi della piccola Joey, dà del filo da torcere, in quanto ad incapacità comunicativa, al resto dei personaggi, poco approfonditi e relegati nei classici stereotipi da compagnia liceale in cui non mancano la brava ragazza, quella ricca e perfettina, la bad girl o l'eterna romantica...

Sdolcinato e un po' povero di contenuti, nel complesso The Romantics è apprezzabile per il tocco malinconico che in generale pervade l'intera opera: una malinconia che sconfina nello squallore di alcune amicizie mature che in qualche modo sopravvivono a se stesse anche affannando tra delusioni del tempo difficili da superare.

Neanche il momento del ballo, classico topos imperdibile in questo tipo di film, con i corpi che attraverso un'intima danza spirituale ritrovano gli equilibri perduti, riesce a rendere poetico un film che altrimenti, più tristemente, si potrebbe definire solo romanticamente decadente.

martedì 14 maggio 2013

Take This Waltz


Un film di Sarah Polley con Michelle Williams e Seth Rogen. Canada, 2011

Presentato al Toronto Film Festival 2011 ed al Tribeca Film Festival 2012, è l'opera seconda della regista canadese Sarah Polley, che dopo il suo primo film con cui ha gareggiato al Sundance 2007, torna alla regia con un'intensa romantic dramedy.

Michelle Williams è Margot, sposata da pochi anni con Lou (Seth Rogen), uomo un po' freddo e molto occupato dal proprio lavoro, con cui ama giocare fino a non più divertirsi, dimostrandogli un affetto strano, quasi malato, tramite discutibili frasi in codice giocosamente inquietanti. Un modo bizzarro di vivere in una coppia collaudata ma al contempo formata quasi da sconosciuti che provano a cercarsi e il più delle volte finiscono per perdersi.

Due personaggi molto complessi, che sono ritratti profondamente ed onestamente, approfonditamente descritti nelle loro paure e nella fragilità di chi sa parlare del proprio disagio e lo esorcizza senza vergogna. Margot è in conflitto con il suo essere libera ed in gabbia, amata ed amante: sentendosi in colpa e senza il coraggio di affrontare il bivio della vita, intrattiene un'amorevole amicizia complicata con il vicino Daniel, così come Lou, distratto dalle ricette di pollo e da una famiglia problematica, si accorge troppo tardi di una deriva che li porterà ad un epilogo infausto.

Un vero valore aggiunto del film, oltre alla sceneggiatura ben scritta, senza dialoghi superflui e con informazioni dosate che rivelano nei tempi giusti e gradualmente le storie dei protagonisti, sono sicuramente l'insieme di location e scenografie.
Un vero paradiso estetico si staglia davanti all'occhio di chi non solo osserva il film, ma ne viene rapito dai colori, quelli caldi, saturi e sensuali del quartiere portoghese di Toronto: una Little Portugal dai materiali e dagli oggetti tipici, con le facciate delle case sgargianti, le strade color pastello e gli affascinanti e profumati mercati dal sapore etnico.
Così come l'ottima ricerca delle location esterne ha sortito un risultato più che visivamente gratificante, anche lo studio degli interni e la consapevolezza scenografica con cui sono stati arredati rendono lo spazio in cui si muovono i protagonisti, quasi il terzo personaggio del film, se non si conta il vicino di casa amico pittore e portatore di risciò che rappresenta il classico elemento disturbatore di un idillio amoroso da rovesciare.
Strettamente correlati ed altrettanto convincenti i costumi: abiti fioriti e colorati in piena atmosfera esotica, regalano al film un'aura un po' latina, un po' mediterranea estremamente curata.
L'impostazione narrativa circolare fa in modo che inizio e fine coincidano in un unica sfornata di dolci amari, al ritmo di un tango poetico in una soffitta sfitta dal tocco parigino.

Oltre la componente visiva, si assiste ad una piacevole attenzione per il sonoro: giochi di rumori e suoni che si interrompono sottolineano i diversi punti di vista assunti dalla macchina da presa in luoghi differenti e tengono vivo il ritmo della storia portata avanti dalle microazioni dei personaggi seguiti da vicinissimo e quasi trapassati dall'obiettivo, come a volerli studiare e scoprire dall'interno, nella loro complessità.
La colonna sonora, tra brani classici e più indipendenti compone un quadro sonoro perfetto per accompagnare una storia amara che prova a rendersi divertente e non riuscendoci, finisce per morire dietro un vetro, osservando crescere muffin al mirtillo.

sabato 11 maggio 2013

Somewhere


Un film di Sofia Coppola con Stephen Dorff, Elle Fanning. USA, 2010.

E' nato come titolo provvisorio ma è diventato ben presto ufficiale grazie alla sua leggiadra carica evocativa, ispiratrice d'atmosfere vacue ed irrisolte, vere protagoniste del film.
E' del 2010 e la lacuna sul blog andava colmata.

Quarta opera di Sofia Coppola, Leone d'oro a Venezia 67°, è una delicata storia d'affetti: parafrasando la regista stessa, un poema sinfonico contemporaneo ed autobiografico.
Prodotto dal fratello Roman e dal padre Francis, quasi come fosse indipendente, il film è compreso nella breve ma fortunata carriera di un'artista ancora considerabile emergente, la quale abbandona in questo caso amore, suicidi o macarons, per raccontare la vuota vita di un attore in crisi esistenziale.

Lui è Johnny Marco (Stephen Dorff) che presso l'alloggio feticcio dei divi di Hollywood, lo Chateau Marmont Hotel, consuma giornate dedite ad alcol, feste e audaci ballerine , ed in preda alla noia nonché ad uno stile di vita dissoluto, rimette in discussione la sua vita trascorrendo pochi giorni con la figlia undicenne Cleo (Elle Fanning). Dolce e sensibile lolita sorridente, asseconda il mondo immaginario del padre nel quale, affannando, cerca di ritrovare un genitore troppo assente ed inetto per il quale non può, però, che provare amore e tenerezza.
Un percorso affettuoso e reciprocamente rivolto alla scoperta l'uno dell'altra, li vedrà uniti e complici nel costruire un personalissimo codice, quasi fraterno, di comunicazione giocosa che, come uno scherzo in musica, stupisce e addolcisce lo sguardo dello spettatore.

Un uomo come sempre complesso ed irrisolto quello descritto dalla regista nell'intera sua filmografia, addirittura assente per certi versi, basti pensare a Lost in Traslation, e se in quel film il personaggio interpretato da Scarlett Johansson poteva sembrare una proiezione adolescenziale della regista all'interno di una storia d'amore platonica poetica e struggente, in Somewhere, tramite Cleo, la Coppola ci racconta la se stessa bambina sofferente nei panni di un'eterea ed innocente fanciulla in cerca di una figura paterna da amare.
Si parla di Coppola padre dunque, protagonista assente del film nonché amabile responsabile della squisita e romantica tenuità delle atmosfere (sono sue le originali e vintage ottiche Zeiss anni ottanta utilizzate per donare alle immagini una grana meno HD e più sfumata nei colori del pastello).

L'italianità stridente e grottesca di una parte del film (con gli attori più trash di cui disponiamo eccetto Maurizio Nichetti) restituisce una altrettanto grottesca immagine del nostro paese, affetto da uno star system caciarone, finto e paillettato che ci renderebbe tristemente pittoreschi di fronte a qualsiasi occhio straniero.

Al tema dell'anti-eroe e della superficialità di un mondo patinato poco reale, si aggiungono quelli del viaggio, della mancanza di radici e delle relazioni, tutti elementi di un unico topos e luogo dell'anima prettamente Coppoliano, l'albergo: nido intimo di amanti o familiari alla ricerca delle proprie origini, ma allo stesso tempo inferno abitato dall'altro, dallo sconosciuto, da chi inevitabilmente potrebbe rompere la sfera privata del film e provocarne un repentino stravolgimento.
L'inizio straniante alla P.T. Anderson ci conduce subito all'interno di un film molto personale e raffinato, rifinito da una colonna sonora contemporanea degna di nota come per le precedenti opere.
Lo stile è minimale e la macchina da presa indugia sulle inquadrature, spesso insistentemente, rendendo il ritmo volutamente lento talvolta, adatto a stimolare la riflessione, l'osservazione approfondita del particolare, anche glamour, sempre presente nell'estetica della Coppola o dei paesaggi e delle strade desolate di Los Angeles.
Un ritorno alla semplicità produttiva dopo i fasti dell'opera in costume Marie Antoinette certamente più complessivamente elaborata.

Omaggio a Fellini quasi sul finale (e l'impostazione della scena ricorderebbe anche l'epilogo di Lost in Traslation) con il padre di Cleo che, sotto il rumore dell'elicottero, le chiede scusa mentre lei si allontana ed ormai distante non riesce a sentirlo. Inoltre, a fronte di una struttura filmica perfettamente circolare, un ulteriore omaggio al cinema, in questo caso francese, conclude realmente l'opera, con quella che rappresenta una delle scene truffauttiane per eccellenza, al profumo di liberazione, possibilmente in riva al mare, ma senza il fermo immagine.

lunedì 6 maggio 2013

Like Crazy


Un film di Drake Doremus con Felicity Jones, Anton Yelchin. Usa, 2011.

Presentato al Sundance 2011 dove ha vinto il Gran Premio della giuria, ha fatto la sua apparizione anche in Italia, fuori concorso, al Festival Internazionale del Film di Roma.

Per la regia del trentenne Drake Doremus, è un piccolo film indipendente che racconta la commovente storia d'amore tra Anna e Jacob, divisi tra Londra e Los Angeles ed intenti a non lasciarsi andare, perduti nella loro lontananza.
Inizia con un atto coraggioso da parte di lei la storia ed il film stesso, che continuano grazie all'audacia degli amanti che non vogliono perdersi, fingendo il meglio per non farsi soffrire, fino ad esplodere e non sentirsi più padroni della propria vita.
Con una storia semplice e senza pretese si indagano i danni che la mancanza e la distanza possono, impercettibilmente, creare nella vita non solo di una coppia ma anche di chi intorno ad essa inevitabilmente gravita, e si riscopre il valore della pazienza, tema portante del film, inciso nei cuori e su metallo.
La macchina da presa a mano segue i personaggi nelle loro passeggiate, negli arrivi o nelle partenze, senza paura di sbavature o movimenti indesiderati, stando loro, talvolta, così addosso da aver l'impressione, almeno inizialmente, di poterli comodamente spiare, ascoltandone di nascosto le conversazioni intime e sussurrate come a soddisfare un'innocente e hitchcockiana necessità voyeuristica.
Due personaggi che lo spettatore, dunque, almeno inizialmente percepisce come estranei, ancor più durante il quasi-piano sequenza di loro di spalle che camminano e parlano senza mai rivolgersi a favore di camera, ma ai quali gradualmente si avvicina cominciando a provare profonda empatia.
Senza dubbio ammirevole l'improvvisazione quasi totale dei dialoghi, la cui forza drammatica non indifferente, espressa da silenzi e turbamenti che non necessitano mai di troppe parole, ben presto si fa largo a discapito di una spensieratezza che chi guarda continua a sognare per i suoi due protagonisti, fino al poetico epilogo d'amore tanto aperto quanto intriso di dolorosa speranza.

Come a voler dichiarare una consapevolezza d'autore, il montaggio brusco dell'incipit ricorda i tagli alla Lars von Trier di Dogville, percepibili e significativi nella loro grande potenza narrativa.
Uno stile piacevolmente sporco accentua l'intimità di una storia per immagini simile ad un filmato amatoriale, come fossero i protagonisti stessi a riprendere la nascita del proprio amore e documentarne le tappe più tenere. Una scelta registica che punta alla semplicità e alla spontaneità senza però scadere nell'approssimazione tecnica: un gioiellino low budget curato, dunque, girato in digitale (con la famosa Canon EOS 7D) e volutamente naif che investe tutto il suo potenziale nel sentimento.
La soundtrack quasi assente, provoca un disorientamento sonoro straniante, mentre dalla metà del film si inizia a godere d'un accompagnamento musicale che scivola sotto le immagini senza invadenza, ponendo fine a quell'effetto singolare di silenzio iperreale quasi assordante che sa troppo di verità.
Nel complesso, un amorevole film che parte con uno stile ben determinato per trasformarsi, evolversi e maturare insieme ai suoi personaggi sia narrativamente che tecnicamente.

sabato 4 maggio 2013

GIRLS: waiting for season #3


Pensavo a questo post da settimane ed ho sempre rimandato per prendermi il giusto tempo, farmi una bella maratona e parlarne avendone una splendida visione d'insieme. GIRLS


Protagonisti i nuovi disoccupati d'America, gli slackers dalle molte velleità artistiche e dai pochi spiccioli nelle tasche; ed è forse il piglio ultra contemporaneo della serie in sé che l'ha resa specchio fedele di una generazione audace che non ha paura di affrontare i propri disagi con onestà, fuori dagli schemi e dai tabù, anche e soprattutto sessuali.

Parola d'ordine “rivoluzione”: in un ambiente ancora troppo maschilista come il cinema, le donne, che pur nel panorama indipendente non mancano, riescono ad affermarsi realmente solo quando dimostrano di essere delle vere rivoluzionarie e Lena Dunham (insieme al suo personaggio) sembra proprio rientrare tra le giovani registe indie più giovani e coraggiose degli ultimi tempi. Determinata, ironica e sempre sul pezzo, si è imposta in un genere che si è letteralmente cucita addosso, sperimentando (vera parola chiave della sua carriera) tra cortometraggi, web series, film e serie tv.

La prima stagione di Girls inizia subito affrontando il problema globale di crisi economica da cui siamo afflitti: i genitori della protagonista, interpretata da Lena Dunham, smetteranno di mantenerla. Ventiquattrenne irriverente e cinica sognatrice, Hannah, precipita, dunque, in un inarrestabile sconforto: incredula e convinta di poter veramente essere la voce della sua generazione, comincia a fantasticare temendo di ritrovarsi a lavorare, pur avendo una laurea, dietro ad un assai poco creativo bancone di McDonald riducendosi teatralmente ed eroicamente a morire sola, come Flaubert, in una polverosa soffitta bohemién. Resiste solo grazie all'ingenua ironia con cui spesso si ritrova a dover spiegare battute taglienti fatte a sproposito, perlopiù fatte in presenza di persone sbagliate nonché nei momenti meno adatti come fosse un goffo fumetto di Woody Allen incompreso ed umiliato.

Cosa si prova ad essere amate così tanto?” chiede sognante all'apprensiva Marnie. Quest'ultima, stanca di un ragazzo troppo perfetto ed innamorato, si lamenta con Hannah che per contro ha un cruccio personale a proposito d'amore ben più doloroso e pratica, a tempo perso, sesso volgare con colui che, anche nella vita reale, sta letteralmente incantando il pubblico femminile d'America: il disinteressato e semi-nudo Adam (per approfondire vai all'articolo di Grazia.it che ha ispirato il post: Adam Driver: è davvero il più sexy della tv?).
Sfaccendato e sedicente attore senza maglietta, Adam rappresenta uno dei personaggi migliori: è l'innamorato della protagonista e sulle sue spalle graveranno tutte le più bieche colpe se mai dovesse veramente ferirla più di quanto già non faccia lei stessa continuando a cercarlo senza un riscontro realmente edificante.

Tematiche attuali vengono affrontate con intelligente leggerezza e senza una grave demagogia che altrimenti farebbe perdere all'intera serie l'aria sbarazzina ed al contempo amara che la contraddistingue.
Con veri occhi contemporanei si allude, infatti, ad argomenti caldi quali il quasi aborto dell'amica hippie e viaggiatrice Jessa, libertina amante di mondo offesa dagli stereotipi sulle donne raccontate dalla paraletteratura moderna, o la verginità di Shoshanna, insicura ventiduenne impaurita e curiosa che fin dal principio confessa alle amiche il suo intimo segreto non senza l'imbarazzo del pregiudizio.
Questo è solo l'inizio di una stagione assolutamente ben riuscita, tematicamente e tecnicamente completa, senza sbavature, in un crescendo registico culminante nelle ultime puntate, vero fiore all'occhiello, ancor più intense e romantiche.
Lo stesso, per contro, non si potrebbe affermare a proposito della seconda stagione: iniziata sottotono e con lo stravolgimento di una delle storie principali, riesce a resuscitare verso la metà nonché sul suo finire in un percorso quasi guidato dalla regista sessa in cui, dalla piattezza delle prime puntate investite da una stasi narrativa straniante, si giunge al finale spettacolare che da solo varrebbe l'intera stagione.
Un climax fantastico da cui lo spettatore, non essendo preparato, rimane piacevolmente spiazzato, riponendo fiducia e speranza in una terza stagione (attualmente in produzione) più che brillante ed all'altezza dell'estetica indipendente e mumblecore fino ad ora dimostrata con gran talento.

giovedì 2 maggio 2013

Sightseers


Un film di Ben Wheatley con Alice Lowe, Steve Oram. UK, 2012.

E' stato presentato allo scorso Festival di Cannes ed è una black comedy spiazzante: terza opera indipendente del regista, è stata scritta, oltre che da Amy Jump, dagli stessi due protagonisti Alice Lowe e Steve Oram. Quando un road movie si veste di nero.


Chris e Tina: una giovane coppia appena nata alle prese con i preparativi per la loro prima settimana di vacanza insieme in roulotte. Ed è tra l'imbarazzo genuino e l'entusiasmo di un amore nuovo, che inizia il viaggio che li condurrà alla più totale perdizione morale.

Un incipit da tradizionale road movie di coppia tra le campagne inglesi, con un'atmosfera rilassata che, ben presto, si incrina inesorabilmente in un concatenarsi d'eventi inarrestabili davanti a cui gli spettatori (ma anche i personaggi stessi) inermi, non trovano valide spiegazioni rimanendo pietrificati, prede del più spaesato e gelido sbigottimento.
Il vortice mortifero della follia investe ogni personaggio con una leggerezza e freddezza tali da soft-splatter.

Le ambientazioni suggestive, i paesaggi rosati e le british vallate sconfinate conferiscono un tocco romantico al film, grazie anche ad una fotografia perfettamente studiata ed aiutata senza dubbio dai morbidi cieli plumbei d'Inghilterra, vero dono speciale per ogni operatore che si rispetti.
Ottime anche le scenografie d'interno riguardanti la roulotte: il nido dei due personaggi, cuore del film e unico luogo sicuro per la loro insana storia d'amore che fin dal principio è destinata a precipitare senza possibilità di riscatto.
Un'estetica romantica, dunque, rende ancor più straniante il contrasto con la trama inquietante e misteriosa, musicata da una colonna sonora d'autore alternata ad uno spartito di suoni e rumori spaventosi.
Molto iconiche alcune inquadrature non convenzionali “alla Wes Anderson” dall'alto o dal basso di particolari, dettagli o personaggi o ancora gli sguardi in macchina da nouvelle vague.

Una commedia particolare, dunque, che racchiude in sé diversi altri generi cinematografici in un connubio ben coeso, senza che nessuno di essi prevalga, anzi mantenendo sempre alto il livello sia di suspense, che, soprattutto, d'ironia fredda e grottesca.
Una visione brutale e divertente che fa della frustrazione un'arma deleteria contro il mondo e le piccole cose/persone che lo abitano. Emblematico lo sguardo del personaggio di Alice Lowe che per tutto il film, attonita come lo spettatore, non crede a ciò che vede.