giovedì 3 dicembre 2015

11 donne a Parigi - Sous les jupes des filles




In uscita nelle sale italiane, 11 donne a Parigi è una commedia francese a dir poco folgorante. 
La stampa transalpina l’avrà mal presa, ma questo debutto alla regia dell’attrice Audrey Dana è innegabilmente divertente, talvolta al limite del trash (chic ovviamente, siamo a Parigi) ma veramente spassoso.

11 donne a Parigi: undici donne uguali e diverse, nevrotiche e piacevolmente imperfette le cui storie, senza cadere eccessivamente nello stereotipo, si attorcigliano senza nodi, senza intoppi.

Tra i tanti nomi, si citano Vanessa Paradis nei panni di una capa un po’ sclerotica, acidella e irrimediabilmente sola, Laetita Casta nei panni di una donna affetta da “emotività intestinale” e Alice Taglioni già vista in Paris-Manhattan di Sophie Lellouche. 

Un esercito di femmine vere, reali e spesso sconvenienti, ma pronte a reagire ed investire lo spettatore con una simpatia un po’ sguaiata e uno humour  francese brillantemente spudorato.

Il ritmo è incalzante, Parigi balla in punta di piedi, e i più romantici saranno accontentati: amore, lacrime, bollicine e arcobaleni anche quando non piove!

sabato 28 novembre 2015

Mistress America


Greta Gerwig (qui anche co-sceneggiatrice) torna ad essere diretta da Noah Baumbach che, dopo 
While we’re young, torna a parlare del tempo che passa, di relazioni e di una New York intellettuale sempre in movimento. Gli ingredienti funzionano, la ricetta non si cambia.

Ma Baumbach cresce mentre i suoi personaggi tornano sempre più adolescenti, in preda all’isteria, all’emotività e a sogni impossibili che nel migliore dei casi si realizzano male.  

Si parla ancora di anti-eroi contemporanei, un po' inetti ma come sempre adorabili, in salsa agrodolce ovviamente: Frances Ha vi ricorda qualcosa?

Il personaggio della Gerwig, Brooke, ricorda un po’ la Mavis di Young Adult, una giovane donna irrisolta, dallo charme certamente poetico e perché no?, non poco comico, alla ricerca di un riscatto sociale, professionale, emotivo.

Lola Kirke (sorella di Gemima, la hippie ribelle di GIRLS) è quell’adolescente aspirante scrittrice quasi uscita da un episodio di Una mamma per amica, che sogna il college, ma che una volta conquistata la stanzetta della residenza universitaria, conosce il disincanto e vola alla scoperta delle luci di Manhattan.

Tra una citazione di Shakespeare ed un concerto new-metal, due piccole storie (ottimamente vestite e ben arredate) si incrociano e danno vita ad un simpatico ritratto generazionale, ovviamente sempre un po’ chiacchierone, con molti vinti e nessun vincitore, come da vera tradizione Baumbachiana.

Il ritmo è ben gestito in questa commedia delle donne presentata allo scorso Sundance Film Festival: il regista omaggia ancora una volta l’universo femminile fatto da donne indipendenti (“Avresti potuto sposare un ricco come me, invece hai scelto la libertà”) ed intelligenti (“Voglio una ragazza da amare, non da dover eguagliare”) che rivelano inconsciamente le grandi debolezze dell’uomo contemporaneo.

Un film creativo ed intelligente che affascina grazie alla sua sobria leggerezza.

E voi, l'avete visto?

martedì 22 settembre 2015

Come girare un film indipendente



Son più di due anni che su questo blog si parla di cinema indipendente, e tra i differenti sottogeneri, il MUMBLECORE è uno di quelli più presenti, da cui mi sono lasciata affascinare senza riserve.

Oggi, per chi lo sta ancora  scoprendo, o per chi si è da poco unito alla nostra community, ecco un piccolo vademecum, per capire, girare, o riconoscere un vero film MUMBLECORE!

Il Mumblecore è un genere cinematografico nato in America una quindicina d’anni fa, per rappresentare tutti quei film indipendenti che venivano realizzati da un determinato tipo di artisti, e con caratteristiche spesso simili. E allora, quali sono le peculiarità di un film MUMBLECORE?

- Si tratta di film a basso budget, spesso bassissimo, girati con troupe ridotta, spesso ridottissima.

- Gli attori non sono necessariamente dei professionisti, nei casi più estremi sono addirittura familiari del regista o dei collaboratori, che sullo schermo rappresentano loro stessi.

-Tecnicamente, soprattutto i film più indipendenti, sono realizzati con materiale non professionale. Esterni suggestivi e illuminazione naturale sono gli ingredienti base: un tocco di color correction e la resa è assicurata! Lo stile è sempre un po’ romantico.

- I protagonisti sono spesso giovani trentenni alle prese con lavori precari e problemi di cuore. Hipster e intellettuali arruffati in contesti urbani cool, artistici e ispiranti. 

- Sceneggiature graffianti, dialoghi ben scritti, guerra a tabù e conformismo.

- Cinema indie 2.0 : i social networks, la rete, le apps e qualsivoglia oggetto tecnologico entra in scena, sul set e fuori dal set. Internet diventa una delle risorse principali per i nuovi videomakers, e per i protagonisti di questi nuovi film, piccole storie di vita vera, in digitale.

Hai dei suggerimenti e vuoi arricchire questa lista?


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giovedì 30 luglio 2015

While We're Young

 Pronti per una nuova e bella commedia firmata Noah Baumbach? 
Non sarà di certo necessario che vi ricordi chi si cela dietro questo nome non ancora abbastanza conosciuto ;)

Ok...un piccolo riassunto per chi ancora non conosce Noah Baumbach:
parliamo del regista di Frances Ha e di Greenberg, due film che tanto ci erano piaciuti, dello sceneggiatore di alcuni film di Wes Anderson, e del compagno di vita della stupenda Greta Gerwig...

While we're young è una simpatica storia che prende la crisi dei 40, la moda hipster degli ultimi tempi, l'intellettualismo alla Woody Allen, e li shakera alla ricerca del cocktail perfetto, dolce ma non troppo, fresco ma con una nota sempre un po' sofisticata e perché no amara.
 
Siamo a New York, e una coppia di quarantenni un po' disillusi incontra una coppia più giovane dalla quale proveranno a trarre nuova linfa vitale. Adam Driver incarna un giovane documentarista in erba dalle idee folli e brillanti, hipster 100% certificato, che darà del filo da torcere al personaggio impersonificato da Ben Stiller, regista ormai in crisi creativa.

Una commedia che celebra le nuove tecnologie, ma al contempo le critica, che celebra la nuova moda hipster, ma in un certo senso la condanna, che mostra il vuoto di una certa generazione di quarantenni del giorno d'oggi, per i quali alla fine però mostra comprensione: Noah Baumbach non vuole prendere parte al dibattito, o allora vuole lasciare allo spettatore l'ultima parola...
C'è ancora un po' di speranza per i nostri quattro personaggi, un po' folli, un po' ribelli, divertenti e spesso un po' troppo ingenui? 

Amore e odio tra due generazioni, nostalgia del passato, e incroci pericolosamente imperfetti alla ricerca di un futuro migliore.
In fondo si parla di gioventù...non bruciata, ma leggermente affumicata dal tempo che passa, dalle cose che non cambiano colore, dalla vita in generale che a volte sembra troppo uguale a se stessa.

sabato 2 maggio 2015

Tokyo Fiancée


Quando Il favoloso mondo di Amélie incontra Lost in translation” hanno scritto.

E infatti c’è un po’ della Tokyo romantica descritta nel film di Sofia Coppola, e c’è una giovane ragazza un po’ strana alla ricerca di se stessa, il tutto rivisitato in chiave “Nothomb”.

Nasce dal libro Né di Eva né di Adamo questo film diretto da Stefan Liberski che potrebbe dirsi quasi complementare a Stupeurs et Tremblements, poiché in entrambi si racconta la vita di Amélie tornata in Giappone per un po’ alla ricerca delle sue origini: nel primo si racconta la storia d’amore tra la protagonista e Rinri, nel secondo le tragiche avventure della stessa eroina nell’azienda giapponese per cui comincia a lavorare.  E nonostante tale relazione tra i due libri e i due film sia profondamente stretta, lo stesso Giappone non si sarebbe potuto raccontare in due modi così differenti.  

In Tokyo fiancée ci sono i colori, l’accoglienza e la poesia della cultura giapponese che incontra quella francofona formando un dolce connubio intimo che solo alla fine, e senza il pathos tragico occidentale, lascia quell’amaro in bocca che comunque conserva un po’ di speranza.


Pauline Etienne dà un carattere straordinario alla protagonista Amélie, quasi fosse uscita da un cartone animato, con uno stile sbarazzino ed originale, colori sgargianti ed una mimica facciale molto espressiva e divertente. Lo stile garçon, sensuale e un po’ infantile del personaggio rievoca grandi icone della Nouvelle vague, e il vagabondare per la città, gli amori un po’ folli e impossibili, fanno riemergere immagini da cinema francese ancora ben impresse nella memoria. Oriente e Occidente, l’uno nelle braccia dell’altro si cercano, si perdono…in un vortice amoroso di belle scoperte e nuovi orizzonti da immaginare.

domenica 1 marzo 2015

Birdman


Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Birdman è una bella dichiarazione d’amore per il cinema, il teatro e la bella letteratura silenziosa di Carver, che richiama le atmosfere americane, di provincia o cittadine di alcune case un po’ sfatte, di quelle sere brille in cui seduti sulla panchina dell’atrio di casa si ascoltano la periferia, la solitudine e i dolori nei rumori di piatti provenienti da lontano.
Una star del cinema ormai in decadenza cerca il grande riscatto, il Birdman di un tempo continua ad ossessionare  Riggan (Michael Keaton) ma è il momento di reagire nonostante i demoni del passato.

Il teatro nel film, una perfetta “mise en abyme”, un gioco tra differenti realtà che si sovrappongono e si intrecciano senza sosta.  Un passo a due tra finzione e verità, realismo ed effetti speciali, Carver e Birdman, il metodo Stanislavskij e la recitazione tradizionale, il personaggio di Edward Norton che ad un certo punto dice “Scopiamo per davvero” perché sul palco le emozioni devono essere vere, e Michael Keaton che entra in scena dalla platea simulando una pistola con le dita… Reale (nonostante la grande battaglia di Carver contro chi lo chiamava “realista”) e surreale si fondono, antieroi e supereroi si scontrano e l’incantesimo è fatto.

Un film esteticamente impeccabile, dalle luci soffuse, che solo un miracolo cinematografico ha potuto rendere così perfette, miracolo che il film, tecnicamente, si propone di essere: la grande ambizione di creare un piano-sequenza di due ore (ovviamente “finto”) è estremamente ammirabile e riuscita. La camera danza senza sosta, fluida e addosso ai personaggi, con movimenti studiati con precisione millimetrica.

Un lungo piano sequenza che ci rimanda immediatamente, agli otto piani sequenza di Nodo alla gola di Hitchcock, che ritorna iconograficamente anche nella locandina in cui un personaggio con un uccello in testa ci riporta spaventosamente a quel capolavoro de Gli uccelli in cui l’uomo viene tragicamente messo in gabbia, così come il personaggio di Michael Keaton è messo in gabbia dal suo doppio-Birdman, e forse da se stesso.

L’utilizzo sapiente dell’accompagnamento musicale è un altro punto a favore di questo film così denso di storie, espedienti tecnici invisibili e metafore: una batteria jazz commenta il film in ogni scena essenziale e ne dona il ritmo talvolta angosciante. Senza dimenticare l’umorismo: la sceneggiatura è un capolavoro di ritmi e battute ben amalgamate tra loro, divertenti e graffianti.


La metafora del volo domina l’intero film ed è la protagonista di alcune scene sulle quali si posa un velo così magico che  il paradosso cinematografico è pronto, Inarritu colpisce ancora.  C’è Hitchcock, dunque , ma parlando di citazioni, c’è anche Fellini (la scena finale del volo richiama l’inizio di 8 e mezzo) e c’è molto Altman, inevitabilmente, con un pensiero sincero al suo America Oggi, che riscalda lo sguardo e nel mostrarci il ritratto di una vita imperfetta, ci fa sentire sempre un po’ più a casa.